🟥 Martina. 14 anni. Uccisa dall’ex. E adesso tutti parlano. Ma prima, chi c’era davvero?
“Ogni volta che accade, ci indigniamo.
Ogni volta che accade, è già troppo tardi.
Ma i segnali c’erano. Sempre.
E non è accettabile continuare a ignorarli.”
Martina Carbonaro aveva 14 anni.
È stata uccisa da un ragazzo di 19. Il suo ex.
Una frase così dovrebbe bastare a zittire tutto e farci vergognare.
Ma invece, come sempre, si è aperto il solito teatro del dopo.
Talk show, politici indignati, commenti da social, marce, hashtag, fiocchi rossi.
Tutti a parlare. Ma nessuno che si assume una responsabilità.
E allora la domanda, quella vera, è solo una:
Dove eravate prima?
Quando Martina era viva?
Quando c’erano i segnali?
Quando ancora si poteva intervenire?
⚠️ I segnali c’erano. E non erano neanche tanto sottili.
Perché Martina non è stata uccisa all’improvviso.
Non è scomparsa da un giorno all’altro.
Non è stata colpita da un mostro sconosciuto.
No.
Martina era in una relazione con quel ragazzo da due anni.
Si erano messi insieme quando lei aveva 12 anni e lui 17.
Non due anni di differenza. Cinque. A quell’età è un abisso.
Nel tempo, erano emersi almeno tre segnali fortissimi:
- Martina racconta alla madre che lui le ha dato uno schiaffo.
- E già qui bastava per fermare tutto.
- La madre di lui scrive alla madre di lei:
- “Stai attenta. Tua figlia è in pericolo.”
- Martina comincia a confidarsi con un altro ragazzo via social.
- Il suo ex lo scopre. E scatta la rabbia.
Cosa è stato fatto?
Nulla.
Come se fosse normale che una ragazzina venga picchiata, minacciata, controllata.
E invece no.
Questi segnali dovevano bastare.
Ma non li vediamo mai.
O peggio: li vediamo, ma li normalizziamo.
🧠 Una 12enne e un 17enne non sono “una coppia giovane”. Sono un problema.
Smettiamola con la favoletta del “l’amore non ha età”.
Smettiamola con le frasi tipo “l’importante è che si vogliano bene”.
Martina aveva 12 anni.
E come tutte le dodicenni, voleva sentirsi grande.
Voleva contare qualcosa. Voleva essere scelta, amata, riconosciuta.
Quando a cercarti è un ragazzo più grande, ti sembra di avercela fatta.
Ma quello non è amore. È vulnerabilità. È dipendenza. È pericolo.
E il ragazzo?
Aveva 17 anni. Poi 19.
Cosa ci fa un 19enne con una 14enne?
Non parliamo di eccezioni.
Parliamo di una dinamica ricorrente:
quando un ragazzo più grande si lega a una ragazza molto più giovane,
non cerca una relazione matura.
Cerca una persona più controllabile.
Non è sempre un mostro. Ma quasi sempre c’è uno squilibrio.
E quando quello squilibrio si incrina, arriva il bisogno di rimettere tutto sotto controllo.
Anche con la forza. Anche con la minaccia.
O, come in questo caso, con la violenza definitiva.
🚨 Ma adesso tutti parlano. Troppo tardi.
Ora che Martina è morta, eccoli tutti:
- I politici indignati che propongono leggi
- Gli opinionisti nei salotti TV
- Gli attivisti dell’ultimo minuto
- Gli hashtag: #maiPiù, #nonUnaDiMeno, #educazioneAffettiva
Ma quando serviva parlare prima, dov’erano?
Quando una madre riceve un messaggio che dice “stai attenta”,
ma poi tutto continua come se niente fosse,
quella non è una tragedia improvvisa.
È una tragedia permessa.
E sia chiaro:
nessuno sta assolvendo l’assassino.
Non esistono scuse.
Ma se ci limitiamo a demonizzare lui, non cambiamo nulla.
Perché il prossimo Alessio è già lì fuori.
Sta crescendo.
Sta imparando che una ragazza può essere “sua”.
Che se lei lo lascia, può punirla.
Che se si sente ferito, ha il diritto di distruggere.
🧱 Le famiglie devono smettere di aver paura di educare
Essere genitori oggi sembra significare “non interferire troppo”.
“Dare fiducia”.
“Non invadere la privacy”.
Ma il risultato è che molti adolescenti crescono da soli.
Crescono in ambienti dove tutto è concesso,
dove nessuno dice “questa cosa non va bene”,
dove anche le relazioni squilibrate vengono ignorate in nome del rispetto.
Ma il rispetto per cosa?
Per la libertà di tua figlia di finire in un incubo?
Meglio una figlia incazzata con te,
che una figlia che non c’è più.
E no: non è colpa dei genitori.
Ma è responsabilità degli adulti – tutti – vigilare.
Mettere confini. Parlare. Indagare.
Fare domande anche se sono scomode.
🏫 La scuola non può più permettersi di essere neutrale
A scuola si parla di inclusione, di agenda 2030, di cittadinanza.
Ma non si parla quasi mai delle dinamiche relazionali concrete.
Quelle che portano al controllo, al possesso, alla violenza invisibile.
Non si insegna a riconoscere:
- la manipolazione emotiva
- il ricatto psicologico
- il controllo mascherato da protezione
- la gelosia spacciata per amore
Questi sono gli argomenti da portare in classe.
Non solo dopo la tragedia. Ma prima. Sempre.
🛠 Strumenti veri per ragazzi e ragazze
Parlare di “educazione affettiva” non serve a nulla se non è pratica, reale, concreta.
Ai ragazzi bisogna insegnare:
- A gestire il rifiuto
- A separare le emozioni dall’identità
- A non vivere la fine di una relazione come un’umiliazione
- A riconoscere che la rabbia non dà diritto di vendetta
- A parlare. A chiedere aiuto. A non isolarsi
Alle ragazze bisogna insegnare:
- A riconoscere le red flag: controllo, gelosia, isolamento
- A fidarsi del proprio disagio
- A raccontare, anche quando hanno paura
- A dire NO, anche se sono innamorate
- A non sentirsi mai colpevoli se si sentono in trappola
Questo si chiama prevenzione reale.
Tutto il resto è retorica.
❌ Basta con la caccia al colpevole. Basta con le accuse al genere.
Non serve criminalizzare “i maschi”.
Non serve più dire “patriarcato” come se spiegasse tutto.
La violenza non è questione di slogan.
È questione di educazione.
E l’educazione non ha sesso: ha responsabilità.
Ci sono ragazzi che amano davvero, che rispettano, che proteggono.
E ragazze che non sanno dire no, perché nessuno gliel’ha insegnato.
Non servono slogan.
Servono strumenti.
E servono adulti che abbiano le palle di insegnarli.
🔚 Conclusione: o ci svegliamo, o continuiamo a seppellirle
Martina non è l’ultima.
Non lo sarà.
Perché stiamo ancora facendo finta che il problema sia il “gesto folle” di un singolo.
No.
Il problema è tutto quello che c’era prima.
Tutto quello che non abbiamo voluto vedere.
E allora, se sei genitore, insegnante, educatore, o semplicemente una persona che non vuole leggere un’altra notizia del genere,
fai qualcosa adesso.
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Perché la prossima Martina è viva.
E possiamo ancora proteggerla.
Se agiamo adesso.
Non domani.
Adesso.
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