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Escrito en el Camino / Scritte in Cammino

Prefazione

“Non puoi viaggiare su una strada senza essere tu stesso la strada”. Non so se questo aforisma del Buddha sia quello che meglio rappresenta il senso del cammino e il racconto del cammino per Adriano, ma, forse, non è interessante trovare per alcuno l’immagine folgorante di sintesi, quanto piuttosto quella che ci avvicina più di altre alla sintesi possibile.

Il “pellegrante”1 Adriano, l’inquieto viaggiatore, il curioso uomo di medicina e poesia, l’attraversatore di frontiere, il camminante mistico e misticamente laico, il creatore di parole, il cosmopolita cittadino del mondo, ha percorso terre, sfidato condizioni diverse, ha conosciuto e dimenticato, ha attraversato strade ed è diventato lui stesso la strada che percorre, perché ogni strada, polverosa o impeccabile che sia, è anzitutto una strada della vita e per la vita, quella sulla quale, nella solitudine dei propri pensieri, le storie, gli amori, il groviglio della mente si addipanano e si ritorcono di continuo.

Così, la sua poesia diventa una sorta di crocevia tra racconto, pagina di diario, notazione e quadro di paesaggi, memoria di quell’amore evocato, come in una seduta spiritica, inseguito, perso e ricercato nel ritmo della propria interiorità.

Camminare come esigenza, fisica, esercizio di semplicità e di contemplazione, attraverso il quale si entra in contatto con i recessi più profondi del mondo e della propria mente, perché l’accesso all’evidenza insondabile, per così dire, avviene on the road; ce lo dicevano già i filosofi antichi, ce lo ripetono i filosofi successivi, l’”eretico” Nietzsche lega al cammino i più significativi momenti di grazia della sua riflessione.

Adriano “pellegrina” in molti luoghi, ma quando lo fa lungo il cammino di Santiago di Compostela è come se il suo corpo e la sua penna si espandessero al di là di ogni limitazione.

All’inizio del Cammino Adriano ci racconta un frammento della sua intimità con quella naturalezza che non abbatte mai le difese del proprio privato.

Un viaggio ed il cammino sono cose profondamente diverse: Per un viaggio si parte lasciando ogni dettaglio in ordine nella casa che ci riaccoglierà, con la mente rivolta all’armonia che tutela dalle improvvisazioni della vita.

Ma per il cammino qualcosa cambia, un particolare, uno solo, che è la piccola disarmonia nell’ordine, l’anomalia nella regola, una sorta di amuleto che si lascia nella propria casa e che si porta con sé e che sappiamo ci aspetterà ancora al nostro ritorno, segnando il valore assoluto del tempo - quello trascorso, quello che ci accoglie – e quello tutto interiore che ci lega al piccolo, breve “disordine” che abbiamo lasciato. 


Prefacio

«No puedes viajar por una carretera sin ser tú mismo el camino».

No sé si el aforismo de Buda es el que mejor representa el significado del viaje y la historia del viaje para Adriano, pero tal vez no es interesante encontrar una deslumbrante imagen de síntesis, sino eso que nos acerca a la posible síntesis.

El peregrante Adriano, el viajero desinquieto, el curioso hombre de la medicina y la poesía, el cruzador de fronteras, el caminante místico y místicamente laico, el creador de palabras, el ciudadano cosmopolita del mundo, ha viajado por las tierras, ha desafiado diferentes condiciones, ha conocido y olvidado, ha cruzado caminos y se ha convertido en el camino que recorre, porque cada camino, ya sea polvoriento o impecable, es sobre todo un camino de la vida y para la vida, donde en la soledad de los pensamientos, las historias, los amores y la maraña de la mente se enredan y viven una y otra vez.

Así, su poesía se convierte en una especie de encrucijada entre la historia, la página de diario, la notación y la imagen de los paisajes, la memoria de ese amor evocado, como en una sesión de espiritismo, perseguida, perdida y buscada al ritmo de su propia interioridad.

Caminar como una necesidad física, un ejercicio de simplicidad y contemplación a través del cual entrar en contacto con los rincones más profundos del mundo y de la propia mente, porque el acceso a una evidencia insondable, como suele decirse, ocurre en el camino mismo.

Los antiguos filósofos ya lo dijeron y los sucesivos filósofos lo repiten. El ‘hereje’ Nietzsche une al viaje los momentos de gracia más significativos de su reflexión.

Adriano peregrina en muchos lugares, pero cuando lo hace por el Camino de Santiago es como si su cuerpo y su pluma se expandieran más allá de todas las limitaciones.

Al comienzo del Camino, Adriano nos cuenta un fragmento de su intimidad con una naturalidad que nunca rompe las defensas de lo privado. Un viaje y el Camino son cosas profundamente diferentes.

Antes de un viaje dejamos cada detalle en orden en la casa que nos dará la bienvenida al regreso, con la mente focalizada en la armonía que nos protege de las improvisaciones de la vida.

Pero en el caso del Camino, algo cambia, un detalle, solo uno; es decir, una pequeña falta de armonía en el orden, la anomalía en la regla, una especie de amuleto que dejamos en nuestra casa y al mismo tiempo llevamos para volver a encontrarlo al regreso, marcando así el valor absoluto del tiempo —el transcurrido y lo que nos acoge— y todo lo que nos une al pequeño y breve ‘desorden’ interior.

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