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Henrich Steffens. Filosofo della Natura

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Autore: Pier Francesco Corvino

Titolo: Henrich Steffens.

Filosofo della Natura

Pagg edizione cartacea: 322

Lingua: italiano  

Formato: Epub con Adobe DRM

Prezzo: 9,99 euro

Edizione: prima edizione 2022

EAN/ISBN: 978-88-947177-3-0 

LINK ALLA VERSIONE CARTACEA

IL TESTO: Questa biografia filosofica costituisce un recupero della vita e del pensiero di Henrich Steffens, filosofo e naturalista danese vissuto all’apogeo della filosofia classica tedesca. Attraverso la sua opera, ne “Henrich Steffens. Filosofo della Natura” è possibile rivivere l’acceso dibattito e la condivisione di idee, mirabilmente descritti e contestualizzati, tra i grandi del pensiero del diciannovesimo secolo come Goethe, Hegel, Schelling, Fichte e Schleiermacher. La rivalorizzazione della «filosofia della natura» di Steffens coincide con un momento storico in cui il rapporto fra essere umano e ambiente appare come la questione più radicale e, insieme, più carente di prospettive. Anche per Steffens il ritorno alla natura era una méta: l’impronta che egli ha lasciato sullo spirito della sua epoca può essere misurata proprio a partire da questo compito. La sua stessa esistenza è stata il percorso di una vita, che progressivamente – e forse troppo tardi – ha preso coscienza di se stessa, tornando alla propria natura. Spirito ardente, poi ardito mineralogista, filosofo visionario, cavaliere disarcionato, uomo di lotta e poi di compromesso, infine martire di se stesso: Steffens ha vissuto molte vite. Ciascuna di esse ha rappresentato un sentiero precedentemente smarrito, che può ancora essere battuto. L’opera, curata da Pier Francesco Corvino, offre lo studio approfondito della figura di Steffens, inserito in un vivido panorama del contesto del primo Ottocento.

Pier Francesco Corvino

L'AUTORE: Pier Francesco Corvino (1994), marchigiano, si è addottorato in Storia delle società, delle istituzioni e del pensiero presso l’università di Trieste. È docente di filosofia, storia e scienze umane nei licei e Cultore della Materia presso la cattedra di Storia della Filosofia dell’Università degli studi di Trieste. Si occupa principalmente di ecologia filosofica e storia del pensiero fra diciottesimo e diciannovesimo secolo. È autore di saggi e contributi, monografici e su rivista.

ESTRATTO: II. La via eco-logica di Steffens. Prima di spiegare le implicazioni di questo punto di vista eco-logico, tuttavia, dovremo almeno accennare alla sua provenienza. Come spesso accade in filosofia, le motivazioni alla base di un fenomeno sono molte e quasi mai un numero finito. A nostro giudizio, la principale radice di questo approccio eco-logico mediano va individuata nelle coordinate culturali del pensiero steffensiano, sempre ricordando che la cultura veniva vissuta dallo stesso come un insieme più ristretto dello «spirito». In particolare, alcuni motivi della cultura danese intervengono nella ricezione steffensiana del pensiero tedesco, portandolo più vicino ad una visione del mondo pragmatica e accorta, poco avvezza ai voli pindarici della Kultur germanofona, che pure Steffens stimava e studiava con passione. Tale questione non è esattamente marginale, in quanto ci consente di approfondire – pur non essendo, chiaramente, l’unica chiave – alcuni motivi di distanza fra Steffens ed il contesto pubblico ed accademico tedesco. In generale, è possibile osservare come alcune cifre culturali, tradi-zionalmente assimilabili alla cultura danese del periodo, quali una scarsa propensione all’astrazione, una visione non cupa ma ottimistica della storia o un più generale moderatismo politico, intervengano direttamente nel mutuo scambio fra Steffens e la cultura tedesca. Come è evidente, non è possibile fornire una risposta esaustiva su quanto queste coordinate culturali abbiano influito nel pensiero steffensiano; tantomeno, è possibile parlare, in generale, di «tratti della cultura danese nel diciannovesimo secolo», quasi fossero un insieme omogeneo e statico. Tuttavia, a partire da testimonianze danesi sullo spirito danese, da resoconti storici dell’epoca e, soprattutto, da alcune circostanziate ammissioni di Steffens, di cui daremo contezza nel testo, è stato possibile, a nostro giudizio, affrontare questo ordine di problemi con sufficiente chiarezza.

Certamente Steffens era convinto dell’ascendenza del paese natio di ciascuno sulla formazione dell’identità personale, tanto da ritornare più volte sull’argomento anche nella sua autobiografia. Tuttavia, la questione si complica qualora si realizzi come Steffens sia stato anche un grandissimo opportunista: la sua prossimità al popolo danese, norvegese o tedesco aumenta o diminuisce in funzione della convenienza che il nostro trovava nelle sue ammissioni. Di conseguenza, più che sulle dichiarazioni esplicite, dovremo concentrarci su alcuni elementi impliciti. Prendiamo a mo’ d’esempio la robusta formazione mineralogica che Steffens acquisì negli anni di Copenaghen; a tutti gli effetti una tappa importante nella ricostruzione autobiografica steffensiana. Nella sua narrazione biografica, fortemente orientata in senso teleologico, la nascita di Steffens in terra norvegese connota cultural-mente sia la sua prossimità al mondo naturale sia la sua idea di natura. Più che una natura rigogliosa e colorita, la natura di Steffens è una natura aspra, montuosa, soprattutto rocciosa; più volte il nostro si troverà al suo cospetto, mettendo le sue conoscenze a disposizione di scavi, estrazioni minerarie e ricerche sul campo di ambito mineralogico–geologico. Stante ciò, rimane da capire che cosa possa offrire oggi questa prospettiva “eco-logica” e per quale motivo essa sia ritenuta qui così importante. Per comprendere la portata di questo discorso dovremo ritornare su un fatto anticipato in precedenza: nonostante Steffens avesse una forte formazione di tipo geologico-mineralogico, egli scelse, nella sua maturità, di orientarsi sul problema antropologico, in particolare indagando la natura umana e la questione del rapporto fra l’essere umano e la natura. Avvicinandoci al problema, noteremo che al suo arrivo in Germania Steffens verrà elogiato per una sua prima opera, proprio di carattere geologico, nota come i Beiträge zur innern Naturgeschichte der Erde (1801). Tale opera suscitò una grande impressione fra i principali attori filosofici dell’epoca, facendo entrare immediatamente Steffens nelle grazie di Goethe e, soprattutto, di Schelling. Questo testo era un vero e proprio studio “filosofico”, oltre che geologico, del mondo inorganico, in cui veniva concessa particolare attenzione al passaggio dell’inorganico all’organico. La chiave di volta dell’opera è rappresentata da alcune catene di minerali, le quali rappresenterebbero le “radici” elementali del processo organico. Esattamente questa convinzione condurrà Steffens ad elaborare una nuova visione del mondo, nella forma di una filosofia “antropologica” radicata nella geologia. Cerchiamo ora di comprendere cosa questo significhi.

Quel che è certo, è che, qualunque sia il punto di vista con cui Steffens ha approcciato l’essere umano, il suo modello antropologico steffensiano sarà certamente atipico rispetto a ciò che normalmente chiamiamo antropologia o ci aspettiamo di trovare in una trattazione antropologica. Anzi, converrà esplicitare quanto segue: per comprendere la prospettiva eco-logica di Steffens è necessario comprendere che la sua antropologia non è una semplice teoria dell’uomo. Prendiamo come riferimento la sua opera principale sul tema, l’Anthropologie (1820-22). Questo testo rappresenta un primo compiuto tentativo di costruire una filosofia “antropologica”, dove l’uomo non è chiamato in causa in quanto mero oggetto di studio, ma in quanto punto di accesso al mondo: nell’essere umano steffensiano scorre l’«infinito passato» della natura, ma allo stesso tempo in esso traluce anche il suo «infinito futuro».

L’antropologia di Steffens, dunque, ha l’obiettivo di indagare la natura umana in quanto punto di accesso al mondo; il suo modello, di conseguenza, dovrà permettere all’essere umano di «sprofondare nella natura» senza con questo perdere se stesso, mantenendo questa via mediana fra ciò che l’essere umano rappresenta per sé e ciò che rappresenta per la natura. Con questo obiettivo, Steffens costruisce un gigantesco pastiche, incardinato sulla filosofia della natura di cui abbiamo parlato. Ne scaturisce, così, un’an-tropologia decentrata, in cui l’uomo non è il soggetto del sapere, ma è la luce che illumina la via davanti al grande soggetto di ogni indagine: la natura stessa. Per spiegare in che modo l’essere umano sia giunto a ricoprire questo ruolo nel mondo, Steffens antepone alla sua descrizione dell’essere umano una «antropodicea», cioè una giustificazione teologico-filosofica della genesi dell’umano nell’economia della natura.

L’argomento cardine di questa antropodicea è basato, come nell’opera del 1801, sui minerali fondamentali da cui partirebbe il processo organico. L’idea di fondo, cioè, è che le stesse sostanze che sono ipoteticamente associabili al centro della terra pertengano all’intero sviluppo organico; analogicamente, esse possono essere poste alla base dei vari reami del mondo organico, giungendo, infine, a dare forma a ciò nel XIX secolo era il grande dibattito sulla differenza fra le razze. Tuttavia, proprio perché Steffens intende trovare un significato profondo e teologico a questo processo organico, egli arriverà a dimostrare che le razze non rappresentano un luogo di insanabile differenza fra gli uomini, ma un luogo di ricchezza e di confronto. Tutte le differenze razziali ci permettono di ricostruire un disegno di riunificazione finale fra tutti gli uomini del mondo, che attraverso le reciproche differenze potranno comprendere reciprocamente la propria vera natura. In altri termini, esaminare le razze dal punto di vista filosofico dimostra che la vera natura dell’essere umano non è affatto costituita dalle differenze somatiche e culturali, ma dalla ricchezza spirituale di ciascun individuo.

Di conseguenza l’antropologia, dopo aver costruito una analisi filosofica di nozione provenienti da geologia, geografia e teologia, si mostra infine una «antropologia psicologica», il cui oggetto è l’analisi della natura individuale degli uomini. L’intenzione, in questo caso, è dimostrare come sia possibile una spiegazione psicologica dell’umano alternativa alle «psicologie empiriche» coeve, che non facevano altro che scomporre la coscienza umana. Per costruire questa antropologia psicologica, come vedremo, Steffens recupererà le antiche nozioni di temperamento e di talento. Queste divengono, nella lettura steffensiana, i luoghi fondamentali attraverso cui l’uomo può riconnettersi alla natura, «sprofondando» in essa senza perdersi. Il temperamento, la razza ed il sesso, rappresentano i luoghi in cui la natura decide dell’umano, determinandolo almeno in parte. Dei tre, però, il temperamento ha un seme diverso, dal momento che, in qualche modo, nel temperamento di ciascuno c’è un elemento proprio, individuale. Questo medesimo seme, quando compreso da un punto di vista spirituale, si ripresenta anche nell’altro grande riferimento del modello steffensiano: il talento.

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