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Racconti di Nativi Americani : Cogewea. La mezzosangue di Mourning Dove

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Autore: Mourning Dove

Curatore: Myriam Blasini

Titolo: Racconti di Nativi Americani: Cogewea.

La mezzosangue

Pagg edizione cartacea: 326

Lingua: italiano  

Formato: Epub con Adobe DRM

Prezzo: 9,99

Edizione: Mauna Kea, 2022

EAN/ISBN: 978-88-31335-34-8

LINK ALLA VERSIONE CARTACEA

IL TESTO: “Cogewea” di Mourning Dove è la storia di una ragazza mezzosangue in doloroso bilico tra il mondo dei Bianchi e quello degli Indiani; tra l’amore del vile e falso Alfred Densmore, damerino bianco, e quello di James LaGrinder, un rude cowboy mezzosangue; tra l'apprendimento dai libri in inglese e la saggezza popolare della nonna purosangue nativa. Tanto forte è la attrazione di Cogewea verso il mondo degli “Europei”, quanto lo è verso il senso di appartenenza al suo popolo e allo spirito di giustizia indiano. Eppure, in molte situazioni si trova rifiutata e discriminata da entrambe le parti; sembra però che sia sempre il mondo dei Bianchi a riservarle le umiliazioni più cocenti. Il libro combina l'autentica tradizione indiana con le circostanze e i dialoghi di un romanzo popolare. Questa è la prima edizione in italiano dell’appassionante romanzo “Cogewea”, tradotto e annotato da Myriam Blasini. Mourning Dove è una delle prime autrici Native Americane mai pubblicate, e la sua mission, animata da fervente dedizione, è stata quella di difendere il suo popolo attraverso la scrittura.

L’AUTORE: Christine Quintasket, dal nome indigeno di Hum-ishu-ma, è meglio conosciuta con il suo nome di scrittrice Mourning Dove. Nativa Americana, di origini Salish, nacque nel 1888 e morì nel 1936. Tra le prime autrici native ad essere pubblicate, è famosa per il suo romanzo del 1927, “Cogewea”, e per il suo lavoro del 1933 “Coyote Stories”. Visse da giovane come bracciante agricola: dopo giornate di dieci ore nei campi di luppolo e nei meleti, tornava malconcia nella sua tenda mettendosi ogni sera fedelmente alla macchina da scrivere. Lucullus Virgil McWhorter, uno stimato studioso di storia e tradizioni indiane, la incoraggiò nella sua ambizione di diventare scrittrice; la spronò a fare del suo lavoro letterario “Cogewea” un resoconto del folklore della sua tribù, un appello per il benessere dei mezzosangue e soprattutto la testimonianza della sua dedizione incondizionata al suo popolo.  

IL CURATORE: Myriam Blasini, di origini canadesi, è studiosa appassionata di storia delle religioni e di tradizioni multiculturali e multilinguistiche. Laureanda in Veterinaria alla Federico II di Napoli, ha pubblicato: Lessico Lakota. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Lakota (con R. Milandri, Mauna Kea, 2019), Lessico Cherokee. Storia, Spiritualità e Dizionario Italiano-Cherokee (con R. Milandri, Mauna Kea, 2021)e ha curato la edizione italiana di “Coyote Stories” di Mourning Dove (Mauna Kea, 2020).


ESTRATTO: Era l’ora del tramonto sul fiume Pend d’Oreille. Gli ultimi raggi del Dio-del-giorno, penetrando attraverso il groviglio di piante rampicanti che schermavano il grande portico della casa dell’Horseshoe Bend Ranch, si posavano su un volto di tipo raro. I lineamenti erano piuttosto marcati e ben definiti.

La sontuosa carnagione olivastra, l’espressione seria e pensierosa, proclamavano una fiera discendenza dall’unico vero americano: l’Indiano. Si trattava di Cogewea, una fanciulla di sangue misto; una ‘meticcia’, la cui collocazione sociale era ostracizzata da entrambi i popoli. I suoi occhi, del nero più profondo, scintillavano ― quando erano eccitati ― come rubini fiammeggianti. I capelli, della stessa tonalità, erano lucenti come ali di corvo e cadevano sciolti in grandi pieghe ondeggianti, avvolgendo la sua figura. La sua voce era bassa e musicale, con una risata da far impazzire gli dèi.

La madre di Cogewea era morta quando lei era solo una bambina e suo padre, Bertram McDonald, aveva seguito la corsa all’oro in Alaska, lasciando lei e le due sorelle alle cure della vecchia nonna indiana. Grazie all’aiuto degli amici ― un principio innato della vita indiana ― il lupo era stato tenuto lontano dalla porta del teepee1. Durante tutti quei lunghi anni non era giunta alcuna notizia dal silenzioso Nord e si supponeva che il padre fosse morto nei regni delle tempeste e dell’ag-ghiacciante biancore. Spesso le camassie2 e i salmoni non erano abbondanti nella tenda fumosa, e le piccole orfane non erano estranee alla fame. Ma nonostante questo, le bambine godevano di buona salute e di una costituzione vigorosa, grazie alle cure devote della nonna dalla mentalità arcaica. La vita all’aria aperta, la capanna sudatoria e i bagni freddi nel fiume avevano impresso in ogni loro fibra un’enorme vitalità.

Cogewea, più delle sue sorelle, era testarda e a volte ostinata. Sapeva cavalcare bene e faceva lunghe escursioni nelle montagne confinanti. Queste fughe non erano prive di pericoli e, di conseguenza, erano fonte di notevole preoccupazione per l’anziana nonna. A differenza di altri bambini, i ripetuti avvertimenti che Sne-nah3 l’avrebbe presa non avevano su di lei alcun effetto. Contrariamente all’esempio di tutti gli altri, la piccola ‘meticcia’ sfidava questo temuto divoratore di bambini, estendendo le sue scorribande sempre più lontano nella natura selvaggia. Come una creatura generata dalla natura stessa, né i pericoli immaginari né quelli reali la dissuadevano dal seguire la sua strada.

Alla fine, nonostante la sua antipatia per la cultura dei visi pallidi, l’anziana squaw fu costretta ad ascoltare le suppliche delle buone Sorelle, e all’età di dodici anni la piccola ‘selvaggia dei boschi’ e le due sorelle furono messe a scuola presso il convento. Si ricorse a questa misura solo dopo che Cogewea tornò una sera insieme al suo cavallo ferito da un brutto taglio sul fianco, causato dagli artigli di un puma. L’animale feroce era balzato giù da un albero e la bambina si era salvata solo grazie all’agilità della sua cavalcatura. Con un poderoso balzo, il cavallo aveva privato il felino affamato della sua preda, senza subire altro danno se non la ferita, che ― seppur simile a un taglio da coltello ― non era né profonda né grave.


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