
La divisa sbagliata. Un Indiano d’America tra le SS di Marco Folletti
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€7.99
€7.99
Autore: Marco Folletti
Titolo: La divisa sbagliata. Un Indiano d’America tra le SS
Pagg edizione cartacea: 392
Lingua: italiano
Formato: Epub con Adobe DRM
Prezzo: 7,99 euro
Edizione: Mauna Loa, 2021
EAN/ISBN: 979-12-80456-03-8
Categoria: romanzo storico
LINK ALLA VERSIONE CARTACEA
IL TESTO: Un romanzo storico sorprendente e accurato, ambientato durante la Seconda guerra mondiale. La promessa di Hitler, propagandata negli Stati Uniti da Elwood A. Towner e altri, è quella di dare la cittadinanza ariana ai Nativi Americani, di cui ammira la cultura, e di restituire loro le terre rubate. Il suo obiettivo è crearsi un alleato all’interno del paese nemico più odiato, gli Stati Uniti d’America. Saxton, un Cherokee che non si sente un patriota americano, poiché soffre per la storia di violenze e di soprusi subiti dal suo popolo, decide di credere alla parola di Hitler e di arruolarsi tra i nazisti per combattere il suo paese d’origine. Tormentato da dubbi sulla sua scelta, e pregando di non dover mai combattere contro i fratelli nativi americani reclutati nell’esercito statunitense, inizia una incredibile avventura tra le fila naziste, in Italia. Schierato sulla linea Gustav e poi sulla Linea Gotica, incontrerà il Papa, il Führer e tanti personaggi delle varie fazioni, mantenendo una condotta morale pacifista e antinazista che, più volte, gli fa rischiare la fucilazione.

L’AUTORE: Marco Folletti nasce a Novara e vive a Torrazza Piemonte, presso Torino. Consegue la maturità tecnica e si interessa di scrittura e di ricerca storica, collaborando con Enti, Associazioni e Gruppi Storici. Ha collaborato inoltre con la testata “La Voce del Canavese” ove ha curato, durante due anni, una propria rubrica di storia locale. Ha promosso, in collaborazione con il Consolato Generale di Polonia, la conoscenza del dimenticato Cimitero Militare Polacco istituito in Chivasso dopo la vittoria del 1918. E' stato Guida Sotterranea presso il Museo Militare “Pietro Micca” della Città di Torino. Organizza conferenze e incontri di storia, ed è attivo nel campo della diffusione della conoscenza e del recupero del territorio.
ESTRATTO: Capitolo 1 Cassino, Linea Gustav, 6 gennaio 1944. “Giù la testa!”. È solo un attimo, ma è già troppo tardi: con un raschio da belva la bomba è precipitata in mezzo al camminamento, deflagrando in mille schegge e devastando ogni cosa. Tra gli ultimi echi del rombo che sfuma, urla e richiami rimbalzano in volo su e giù per l’aria nera, come sassi tardivi dopo la caduta di una valanga. A gridare quell’avviso è stato Konrad, mio vicino di postazione qui al settore avanzato del fronte di Cassino; grido che mi ha salvato la vita, ma che non è servito a risparmiare la sua. Brancolando come un cieco tra il fumo che si dirada, cerco, tra terra e detriti, di recuperarne il corpo.
“Konrad?… ”, mi fa Hans: Hans è un bel tipo di biondino dall’aria sveglia e, nel pronunciare il nome del nostro compagno, mi guarda negli occhi e si soffia sulla mano. Gesto eloquente: il ragazzo si è vaporizzato nello scoppio. Hans sa che io non parlo il tedesco e, con quella sua mimica, mi ha reso l’idea.
“Niente di rotto?”, mi apostrofa un barelliere, accorso al trambusto. Pare di no. Mentre faccio un rapido inventario di me stesso, mi rimetto in piedi, stordito ma intero.
“Hai sette vite come i gatti, indiano!”, esclama il tipo, compiaciuto. “Attento, però, questa è caduta davvero vicino; occhi aperti, o alla prossima bomba la fine di Konrad potresti farla tu!”. E, detto ciò, se ne fila via, mentre la fascia bianca al braccio, male annodata, gli scivola giù fino al polso. “C’è poco da stare attenti quando un grosso calibro ti piomba addosso”, borbotto, e con l’ultima voce di Konrad che mi rimbalza nella testa vuota, mi massaggio le orecchie doloranti. Sembra che tutto, di me, sia in ordine, per fortuna; rassicurato, giro uno sguardo all’abbazia di Montecassino che, alta sul suo monte, spettacolare ci sovrasta. Sospiro: sono settimane, ormai, che quel colosso riempie di sé il nostro paesaggio militare e, come ogni giorno, anche oggi ne esploro con lo sguardo le mura vetuste, splendenti di bianco nel sole del pomeriggio. Chissà se anche Konrad si è mai perduto a fantasticare su questa piazzaforte dell’anima? E chissà se sarà stata cattolica, la sua religione? Domande che mai più avranno risposta. Raccolto da terra il suo fucile, pongo le mani davanti al viso e levo per lui la mia preghiera al Grande Spirito. Il caporale Klaus ha intanto riunito gli effetti personali di Konrad: il portafogli tornerà alla famiglia, mentre tutto il resto — tra cui indumenti, elmetto e gavette — sarà spartito tra i compagni.
“Coraggio, Toro Seduto!”, mi grida Hans in un inglese da film. “Le Giacche Azzurre non passeranno, vedrai!”.
Sorrido: nonostante la censura nazista abbia proibito la diffusione delle pellicole d’oltreoceano, Hans è un grande intenditore di film western, e pare divertito nell’avere a che fare con un autentico nativo americano. Ora, il mio nome non è Toro Seduto, ovviamente, bensì Asgichvvsga, che in lingua Cherokee, la tribù cui appartengo, significa Colui che sogna tante cose. Hans non riesce a memorizzarlo, né a pronunciare correttamente il mio nome inglese, Saxton; così, per rivolgersi a me si serve di quel nomignolo. “Dovresti scrivere la tua storia, quando tornerai a casa! Non ne abbiamo molti, di indiani, nell’esercito del Reich!”, esclama Hans. “Chissà, potresti persino ricavarne un libro”, aggiunge e, allentatami una pacca sulla schiena, se ne va fischiettando, lieto dell’elmetto di Konrad toccatogli in sorte. Un libro? E perché no? Ho forse qualcosa da perdere? E così, un po’ per tenermi attaccato alla vita e un po’ per esorcizzare la morte, ho iniziato ad annotare pensieri e parole su certi taccuini che scambio, quando possibile, con la mia razione di sigarette. Il seppellimento di Konrad è stato una faccenda spiccia. Nemmeno so se quei pochi stracci carbonizzati che io e i suoi compagni abbiamo gettato nella fossa comune, in un pallido tentativo di esequie, appartengano davvero a lui. Ora, chi non ha mai vissuto l’orrore delle fosse di guerra non può averne che un’idea molto vaga: nel nostro solo settore, qui a Cassino, se ne contano a decine, luoghi in cui le salme stazionano sepolte l’una sull’altra in attesa che arrivi il momento, se mai verrà, di assegnare a ognuna una lapide e un nome. Non esiste, nelle fosse, una vigilanza vera e propria. In mezzo a tumuli spogli, di giorno svolazzano i corvi e di notte i cinghiali scavano grufolando, mentre i gas di morte che sorgono dalla terra brillano in fiammelle azzurrognole e vaghe. Con tutto questo c’è sempre qualcuno dei nostri che, con l’animo del cacciatore, si avventura in quei luoghi di abbandono: la carne di cinghiale è, qui in prima linea, un bene prelibato, e pur se ci mancano tempo e ingredienti per cucinarla a dovere, è una gradita integrazione al nostro rancio difficile e scarso.
“Ma tu guarda la sfortuna: stamane Konrad doveva essere di riposo, poi ieri sera l’hanno costretto a prendere servizio, ed ecco il patatrac. Quando si dice il destino… ”, mormora Hans scuotendo la mantellina fradicia, lieto per la fine della pioggia. Intanto cerco con gli occhi Günther, mio camerata dal tempo dell’addestramento in Germania. Günther è a suo modo un tipo piacevole, ma non fa che scroccarmi una sigaretta dopo l’altra. Se voglio conquistarmi della carta da scrivere, il tabacco è una moneta di scambio di cui ho estremo bisogno.
Titolo: La divisa sbagliata. Un Indiano d’America tra le SS
Pagg edizione cartacea: 392
Lingua: italiano
Formato: Epub con Adobe DRM
Prezzo: 7,99 euro
Edizione: Mauna Loa, 2021
EAN/ISBN: 979-12-80456-03-8
Categoria: romanzo storico
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IL TESTO: Un romanzo storico sorprendente e accurato, ambientato durante la Seconda guerra mondiale. La promessa di Hitler, propagandata negli Stati Uniti da Elwood A. Towner e altri, è quella di dare la cittadinanza ariana ai Nativi Americani, di cui ammira la cultura, e di restituire loro le terre rubate. Il suo obiettivo è crearsi un alleato all’interno del paese nemico più odiato, gli Stati Uniti d’America. Saxton, un Cherokee che non si sente un patriota americano, poiché soffre per la storia di violenze e di soprusi subiti dal suo popolo, decide di credere alla parola di Hitler e di arruolarsi tra i nazisti per combattere il suo paese d’origine. Tormentato da dubbi sulla sua scelta, e pregando di non dover mai combattere contro i fratelli nativi americani reclutati nell’esercito statunitense, inizia una incredibile avventura tra le fila naziste, in Italia. Schierato sulla linea Gustav e poi sulla Linea Gotica, incontrerà il Papa, il Führer e tanti personaggi delle varie fazioni, mantenendo una condotta morale pacifista e antinazista che, più volte, gli fa rischiare la fucilazione.

L’AUTORE: Marco Folletti nasce a Novara e vive a Torrazza Piemonte, presso Torino. Consegue la maturità tecnica e si interessa di scrittura e di ricerca storica, collaborando con Enti, Associazioni e Gruppi Storici. Ha collaborato inoltre con la testata “La Voce del Canavese” ove ha curato, durante due anni, una propria rubrica di storia locale. Ha promosso, in collaborazione con il Consolato Generale di Polonia, la conoscenza del dimenticato Cimitero Militare Polacco istituito in Chivasso dopo la vittoria del 1918. E' stato Guida Sotterranea presso il Museo Militare “Pietro Micca” della Città di Torino. Organizza conferenze e incontri di storia, ed è attivo nel campo della diffusione della conoscenza e del recupero del territorio.
ESTRATTO: Capitolo 1 Cassino, Linea Gustav, 6 gennaio 1944. “Giù la testa!”. È solo un attimo, ma è già troppo tardi: con un raschio da belva la bomba è precipitata in mezzo al camminamento, deflagrando in mille schegge e devastando ogni cosa. Tra gli ultimi echi del rombo che sfuma, urla e richiami rimbalzano in volo su e giù per l’aria nera, come sassi tardivi dopo la caduta di una valanga. A gridare quell’avviso è stato Konrad, mio vicino di postazione qui al settore avanzato del fronte di Cassino; grido che mi ha salvato la vita, ma che non è servito a risparmiare la sua. Brancolando come un cieco tra il fumo che si dirada, cerco, tra terra e detriti, di recuperarne il corpo.
“Konrad?… ”, mi fa Hans: Hans è un bel tipo di biondino dall’aria sveglia e, nel pronunciare il nome del nostro compagno, mi guarda negli occhi e si soffia sulla mano. Gesto eloquente: il ragazzo si è vaporizzato nello scoppio. Hans sa che io non parlo il tedesco e, con quella sua mimica, mi ha reso l’idea.
“Niente di rotto?”, mi apostrofa un barelliere, accorso al trambusto. Pare di no. Mentre faccio un rapido inventario di me stesso, mi rimetto in piedi, stordito ma intero.
“Hai sette vite come i gatti, indiano!”, esclama il tipo, compiaciuto. “Attento, però, questa è caduta davvero vicino; occhi aperti, o alla prossima bomba la fine di Konrad potresti farla tu!”. E, detto ciò, se ne fila via, mentre la fascia bianca al braccio, male annodata, gli scivola giù fino al polso. “C’è poco da stare attenti quando un grosso calibro ti piomba addosso”, borbotto, e con l’ultima voce di Konrad che mi rimbalza nella testa vuota, mi massaggio le orecchie doloranti. Sembra che tutto, di me, sia in ordine, per fortuna; rassicurato, giro uno sguardo all’abbazia di Montecassino che, alta sul suo monte, spettacolare ci sovrasta. Sospiro: sono settimane, ormai, che quel colosso riempie di sé il nostro paesaggio militare e, come ogni giorno, anche oggi ne esploro con lo sguardo le mura vetuste, splendenti di bianco nel sole del pomeriggio. Chissà se anche Konrad si è mai perduto a fantasticare su questa piazzaforte dell’anima? E chissà se sarà stata cattolica, la sua religione? Domande che mai più avranno risposta. Raccolto da terra il suo fucile, pongo le mani davanti al viso e levo per lui la mia preghiera al Grande Spirito. Il caporale Klaus ha intanto riunito gli effetti personali di Konrad: il portafogli tornerà alla famiglia, mentre tutto il resto — tra cui indumenti, elmetto e gavette — sarà spartito tra i compagni.
“Coraggio, Toro Seduto!”, mi grida Hans in un inglese da film. “Le Giacche Azzurre non passeranno, vedrai!”.
Sorrido: nonostante la censura nazista abbia proibito la diffusione delle pellicole d’oltreoceano, Hans è un grande intenditore di film western, e pare divertito nell’avere a che fare con un autentico nativo americano. Ora, il mio nome non è Toro Seduto, ovviamente, bensì Asgichvvsga, che in lingua Cherokee, la tribù cui appartengo, significa Colui che sogna tante cose. Hans non riesce a memorizzarlo, né a pronunciare correttamente il mio nome inglese, Saxton; così, per rivolgersi a me si serve di quel nomignolo. “Dovresti scrivere la tua storia, quando tornerai a casa! Non ne abbiamo molti, di indiani, nell’esercito del Reich!”, esclama Hans. “Chissà, potresti persino ricavarne un libro”, aggiunge e, allentatami una pacca sulla schiena, se ne va fischiettando, lieto dell’elmetto di Konrad toccatogli in sorte. Un libro? E perché no? Ho forse qualcosa da perdere? E così, un po’ per tenermi attaccato alla vita e un po’ per esorcizzare la morte, ho iniziato ad annotare pensieri e parole su certi taccuini che scambio, quando possibile, con la mia razione di sigarette. Il seppellimento di Konrad è stato una faccenda spiccia. Nemmeno so se quei pochi stracci carbonizzati che io e i suoi compagni abbiamo gettato nella fossa comune, in un pallido tentativo di esequie, appartengano davvero a lui. Ora, chi non ha mai vissuto l’orrore delle fosse di guerra non può averne che un’idea molto vaga: nel nostro solo settore, qui a Cassino, se ne contano a decine, luoghi in cui le salme stazionano sepolte l’una sull’altra in attesa che arrivi il momento, se mai verrà, di assegnare a ognuna una lapide e un nome. Non esiste, nelle fosse, una vigilanza vera e propria. In mezzo a tumuli spogli, di giorno svolazzano i corvi e di notte i cinghiali scavano grufolando, mentre i gas di morte che sorgono dalla terra brillano in fiammelle azzurrognole e vaghe. Con tutto questo c’è sempre qualcuno dei nostri che, con l’animo del cacciatore, si avventura in quei luoghi di abbandono: la carne di cinghiale è, qui in prima linea, un bene prelibato, e pur se ci mancano tempo e ingredienti per cucinarla a dovere, è una gradita integrazione al nostro rancio difficile e scarso.
“Ma tu guarda la sfortuna: stamane Konrad doveva essere di riposo, poi ieri sera l’hanno costretto a prendere servizio, ed ecco il patatrac. Quando si dice il destino… ”, mormora Hans scuotendo la mantellina fradicia, lieto per la fine della pioggia. Intanto cerco con gli occhi Günther, mio camerata dal tempo dell’addestramento in Germania. Günther è a suo modo un tipo piacevole, ma non fa che scroccarmi una sigaretta dopo l’altra. Se voglio conquistarmi della carta da scrivere, il tabacco è una moneta di scambio di cui ho estremo bisogno.