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Gli Indiani d'America e la loro musica di Frances Densmore

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Autore: Frances Densmore

Curatore: Raffaella Milandri

Titolo: Gli Indiani d’America e la loro musica

Pagg edizione cartacea: 158

Lingua: italiano  

Formato: Epub con Adobe DRM

Prezzo: 9,99 euro

Edizione: Mauna Kea, 2024

EAN/ISBN: 978-88-31335-52-2 

LINK ALLA VERSIONE CARTACEA 

Frances Densmore

L'AUTORE: Frances Densmore (Red Wing (Minnesota), 21 maggio 1867 – 5 giugno 1957) è stata un’etnografa ed etnomusicologa statunitense. Nata a Red Wing, nel Minnesota, fu una studiosa affermata della cultura e della musica dei Nativi Americani. Fu un’autrice prolifica, scrivendo oltre venti libri e cento articoli, e registrò più di duemila cilindri fonografici di musica nativa. Le sue registrazioni hanno conservato una grande quantità di musica e cultura dei Nativi Americani, in un periodo in cui i coloni bianchi si stavano trasferendo nelle terre dei nativi e incoraggiavano le tribù ad adottare i costumi occidentali.

IL CURATORE: Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Tra le sue opere ricordiamo “Nativi Americani. Guida alle Tribù e alle Riserve Indiane degli Stati Uniti” (Mauna Kea, 2021), una opera completa e aggiornata sul mondo delle tribù indiane oggi.

ESTRATTO: La differenza fondamentale tra la tradizione musicale degli Indiani e la nostra è che, in origine, gli Indiani usavano il canto come mezzo per ottenere risultati precisi. Il canto non era una questione banale, come suonare il flauto per i giovani uomini. Veniva usato per curare i malati, per assicurarsi il successo in guerra e nella caccia, e in ogni impresa che l’Indiano sentiva essere al di là del suo potere come individuo.

Un Indiano ha detto: “Se un uomo vuole ottenere qualcosa di più che umano, deve avere un potere più che umano”. Il canto era essenziale per l’espressione di questo “potere più che umano” e veniva utilizzato in relazione a qualche funzione definita. Di solito era accompagnato dai tamburi o dallo scuotimento di un sonaglio. Così si vede che la musica indiana (sia vocale che ritmica strumentale) originariamente rientrava nel campo della religiosità. Era utilizzata soprattutto dagli uomini di medicina, che corrispondevano ai nostri sacerdoti e medici, e da individui che avevano acquisito un potere mistico attraverso sogni e visioni. La musica era importante in tutte le cerimonie indiane ed era utilizzata come mezzo per assicurarsi il successo nei combattimenti e nei giochi. Anche le danze facevano parte delle cerimonie e, in tempi relativamente moderni, c’erano danze sociali che si svolgevano contemporaneamente alle danze cerimoniali, ma a una certa distanza dalla cerimonia, in modo che le due cose non entrassero in contrasto. Con il passare del tempo, le danze sociali hanno aumentato il loro successo e, con il tramonto della vecchia religione, le cerimonie sono diminuite . Gli uomini continuavano a giocare, ma non lo prendevano così sul serio. Così la musica ha assunto gradualmente un carattere più mondano. Fortunatamente il conservatorismo degli uomini di medicina ha preservato molte canzoni antiche, ma i giovani Indiani non si curano di queste canzoni e, nella maggior parte dei casi, non ne comprendono il significato originale.

Lo scopo iniziale della musica indiana, delineato nel paragrafo precedente, è stato spesso definito come “invocare l’aiuto degli spiriti” o “evocare l’aiuto soprannaturale”. Si tratta di un concetto così familiare che lo accettiamo facilmente, ma una spiegazione più approfondita è fornita da J. N. B. Hewitt , del Bureau of American Ethnology.

Hewitt afferma che gli Indiani credevano in un certo spirito che abitava non solo nell’uomo, ma in ogni creatura vivente e nella natura. Pertanto, un uomo che desiderava un “potere più che umano” non cercava qualcosa di diverso da quello che possedeva, ma cercava di integrare il proprio potere con l’aggiunta, o la cooperazione, di un potere simile residente in qualche altra creatura o nella natura. Il signor Hewitt suggerisce di utilizzare la parola irochese “orenda” per designare questo spirito universale e onnipresente. Con questa conoscenza delle credenze degli Indiani, possiamo renderci conto che per loro non c’era nulla di soprannaturale, nel nostro uso di questo termine. Nulla era troppo strano per loro da spiegare attraverso questo potere misterioso che sentivano di condividere con tutte le cose del Creato. Rendevano gli animali loro fratelli e persino Thunderbird, l’Uccello del Tuono, loro amico, al quale potevano offrire del tabacco mettendolo sul fuoco e lasciando che il fumo salisse in alto. Le parole di molte canzoni indiane contengono un significato che è reso chiaro da questa conoscenza dell’orenda. Per esempio, una canzone di medicina Papago contiene queste parole:

Un serpente nero va verso ovest,

Viaggia eretto sulla sua coda,

Canta mentre va verso ovest,

Si avvolge intorno a una montagna.

Il serpente non sta cantando, come noi cantiamo per diletto, ma sta esercitando la sua orenda che, negli animali come nell’uomo, si esprime attraverso il canto. Una canzone Cocopa contiene le parole: “Un cespuglio è seduto sotto un albero e canta”, l’idea trasmessa dai Cocopa è che il cespuglio stia esprimendo la sua orenda.

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